2. La paura di sapere

Il dramma della solitudine nel quale sprofondano i genitori quando scoprono di avere un figlio “diverso”. Barbara è mamma di due bambini bellissimi ai quali dedica ogni ora della giornata. Un po’ per scelta un po’ per obbligo: Flavio è un bambino che ha bisogno di attenzioni e cure costose che, almeno in Campania, il servizio sanitario nazionale non garantisce.

1. LA SCOPERTA

Il mio bambino è diverso

Meraviglioso e diverso dagli altri. Lo capisco guardandolo giocare. Seduto a terra, stringe tra le mani un giochino e se ne sta immobile. Mi avvicino, provo a parlargli. Lo chiamo per nome ma lui non si gira. Non mi guarda. Provo a fissarlo negli occhi e capisco. I bellissimi occhi che hanno il blu della notte, l’azzurro del cielo, il verde del mare e sprazzi di stelle, sembrano vuoti. Vuoti come l’abisso nel quale mi sento precipitare. 

2. LA PAURA DI SAPERE

Tutte me lo invidiano questo bambino buono e calmo: “Sembra un bambolotto! Com’è dolce”. Una frase che arriva ogni volta come una pugnalata al cuore.

Ha quasi tre anni ormai, il mio bambino, e le differenze con i coetanei iniziano ad essermi evidenti. Quasi mi sento in dovere di spiegare a chi lo saluta che se non risponde è perché non sa ancora parlare (e sorvolo sul fatto che non usi nemmeno la manina per fare ciao).Tutti mi dicono di non preoccuparmi se Flavio non parla ancora, tanto sta per iniziare la scuola e a scuola si scioglie la lingua e si interesserà a tante cose. Questo non mi basta, sto già pensando di rivolgermi ad una neuropsichiatra infantile e sto raccogliendo discretamente informazioni a riguardo, anche se spero con tutto il cuore che quello che mi dicono sulla scuola sia vero. Perché, a parte poche cose, pochi giochini, il mio bellissimo figlio sembra completamente assente. Dunque, aspetto l’inizio della scuola con tanta speranza, ma anche tanta ansia, perché Flavio è indifeso ed io so che non saprebbe raccontarmi se gli hanno fatto del male, se lo fanno sentire triste, se non lo trattano bene. Con Valerio non avevo queste preoccupazioni.  

La scuola inizia, lui non piange quando lo lascio in classe. Dopo paio di giorni sembra conoscere la strada che conduce alla materna e nei corridoi si orienta benissimo per raggiungere la sua aula. Nemmeno si volta a guardarmi prima di entrare. Questo non mi dispiace, al contrario sono contenta di non dover andare via da lì col magone per averlo lasciato piangendo (come invece succede con Valerio che è all’ultimo anno della materna).

Dopo un mese all’asilo, però, Flavio è sempre lo stesso. I miei parenti che lo vedono tutti i giorni lo hanno soprannominato (amorevolmente si intende) Flavio manco p’‘a capa, perché ogni volta che provano a giocarci o a salutarlo lui nemmeno li vede. Loro non sanno quanto ci sto male.

Nel corso della mia vita ho affrontato situazioni molto dolorose, ma crescendo ho imparato ad affrontare il peggio con razionalità e a volte persino con estemporanea freddezza. Ci sono situazioni in cui non puoi farti prendere dai sentimenti, dal panico, ma devi guardare le cose con raziocinio e destrezza quasi glaciale,  e solo dopo – una volta risolto tutto – puoi lasciarti andare ai sentimenti e magari alle lacrime. Una volta, ad esempio, salvai la vita di mio figlio Valerio: mentre tutti stavano a guardare pietrificati il piccolo che soffocava per un mandarancio, io ricordai di un corso di disostruzione che avevo seguito per caso. Così lo strappai dal sediolone e con mano ferma gli praticai la manovra grazie alla quale il bambino, che all’epoca aveva poco più di un anno, riprese a respirare. In quell’occasione, solo dopo che Valerio riacquistò il suo colorito e si calmò, io potei abbandonarmi al panico e svenire. Io non sono il tipo di persona che di fronte ai problemi sgrana gli occhi e resta impietrita per la paura. Io no. Io agisco, dopo posso piangere. Ed ora, anche se ho una paura prima sconosciuta, non posso ignorarla, non posso non fare nulla.

Le mie notti sono insonni, il timore che Flavio possa avere qualche patologia che rientri nello spettro autistico è sempre più pressante e quando, finalmente, trovo il coraggio di esternare seriamente i miei dubbi, manifesta solidarietà anche chi tempo prima mi aveva detto di non doverle nemmeno pensare certe cose. Solidarietà che mi schiaffeggia nell’animo. Preferirei un’altra aggressione verbale, preferirei mi dicessero che sono proprio una stupida. Invece no. Mi aiutano a contattare un esperto.

La cosa assai dolorosa è anche doverne parlare con mio marito, sono desolata nel dover insinuare in lui i miei stessi dubbi, non dividere, ma condividere un peso così grande. E gli occhi aperti nel buio della nostra camera da letto diventano quattro. Quanto mi dispiace, amore mio, sapere che tu hai i miei stessi affanni!

2 – Continua

Barbara Caccioppoli

http://mariellaromano.it

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