“Papà morto di Covid è diventato un numero: ridategli un volto e un nome”

Parla la figlia di Vincenzo Iuliano, prima vittima del Coronavirus a Torre del Greco

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Vincenzo Iuliano con la moglie

“Mio padre è stato il primo a morire per il Covid a Torre del Greco. Dopo di lui ce ne sono stati altri diciannove. E tutti, all’improvviso, sono diventati numeri senza identità, senza volto. È già triste andarsene da soli, ma è ancora più brutto cadere in battaglia ed essere cancellati”.

Teresa Iuliano ha 46 anni, ed è la figlia di Vincenzo Iuliano, il marittimo settantunenne morto lo scorso 14 marzo all’ospedale Monaldi di Napoli per Covid 19. A quasi due mesi dalla scomparsa del papà, non riesce a darsi pace. Bruciano come il sale sulle ferite aperte, i ritardi nei soccorsi, la solitudine nella quale è piombata tutta la famiglia, il senso di abbandono.

“Nessuno ci ha teso una mano. All’improvviso siamo diventati appestati”, dice Teresa con la voce rotta dal pianto. 

Il dramma, nella famiglia Iuliano, inizia il 2 marzo, quando il rione dove Vincenzo vive con la moglie è già in allarme per i casi di Covid alla scuola Don Bosco-D’Assisi, l’istituto frequentato anche dalla nipotina. Ma nonostante l’allerta e i sintomi di una bronchite diagnosticata dal medico di base, il pensionato resta sette giorni a casa a curarsi con farmaci che non hanno l’effetto sperato. Il 9 marzo, di fronte al peggiorare delle condizioni, la famiglia Iuliano chiede aiuto al 118.

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Vincenzo Iuliano con le figlie

“Arrivati a casa” ricorda Teresa Iuliano, “gli specialisti che non avevano ancora le necessarie protezioni anti Covid, ci hanno suggerito di metterlo in macchina e accompagnarlo in ospedale. È stato mio padre a rifiutarsi: ha detto siete qui, mettetemi in ambulanza e portatemi voi. Dopo molte insistenze, lo hanno caricato sulla barella, una di quelle normali, e siamo partiti per andare all’Ospedale del Mare“.

A Ponticelli, l’ambulanza inverte la marcia e si dirige al Sant’Anna di Boscotrecase che non era ancora un centro Covid.

“Gli hanno fatto una radiografia al torace”, aggiunge Teresa, “e gli hanno subito diagnosticato una polmonite interstiziale bilaterale. Dopo gli hanno fatto il tampone. Il risultato è arrivato due giorni più tardi, quando ormai non riuscivamo più a comunicare con i medici e con papà. Da quel momento abbiamo perso ogni contatto: nessuno ci ha comunicato che mio padre era positivo ed era stato trasferito al Monaldi. Siamo stati noi a cercarlo dovunque. L’unica volta che ci hanno chiamato dall’ospedale è stato il 14 marzo per dirci che papà era morto: ci hanno restituito la salma ma non le cose che aveva con sé: un telefono cellulare, l’orologio, un bracciale e le chiavi di casa”. 

Al dolore del decesso, la famiglia Iuliano è costretta ad aggiungere il disagio per la quarantena forzata; lo sconforto e il senso di abbandono.

“Io e mio marito ci siamo chiusi in una casa; mamma con mia sorella in un’altra”, dice ancora Teresa Iuliano. “Abbiamo molto apprezzato il sindaco Palomba che la sera del 14 marzo ci ha chiamati per le condoglianze e poi si è fatto trovare al cimitero per accogliere la salma di papà che, ovviamente, è arrivato da solo. Poi siamo diventati numeri e statistiche: a giorni alterni ci chiamavano dall’Asl per sapere se avevamo sintomi sospetti, ma non ci hanno mai fatto il tampone e ancora oggi non sappiamo se abbiamo avuto il Covid. Ma la cosa più difficile è stata la gestione del quotidiano: non potevamo uscire e nessuno si è preoccupato di portarci un pezzo di pane, medicine o generi di prima necessità. Dimenticati e messi da parte come gli appestati”.

Ma adesso che è finita, la famiglia di Vincenzo Iuliano ha un desiderio: “Vorremmo”, conclude Teresa, “che nostro padre e tutte le persone che hanno perso la vita, non fossero più solo un numero, ma venissero ricordati dall’amministrazione con nome e cognome scritti su una targa appesa al muro. Proprio come si fa alla fine della guerra con i soldati caduti in battaglia”.   

Mariella Romano

Giornalista freelance, ho imparato il mestiere di cronista consumando le suola delle scarpe. Non canto storie, scrivo ciò che vedo e racconto l’umanità che incontro. Non sopporto i numeri. Non so fare equazioni e conti e, in un mondo di variabili, alla ragione preferisco il cuore. Mi piace, assai, la terra in cui vivo.

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2 Comments

  • gentilissima Signora Mariella se è possibile gradirei sapere se prima vittima del covid ha lavorato con società di navigazione Adriatica mi riferisco al Sig Iuliano
    grazie e saluti
    Gabriele Ioimo

    • Sì, Vincenzo Iuliano ha navigato con la società Adriatica

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