“Missione giustizia”, la storia di Carla Abilitato, molestata e arrestata dal suo persecutore. Un libro che gela il sangue.

carla-abilitato-missione-giustizia-torre-del-greco-mariella-romano-cronaca-dintorniLa solitudine di Carla Abilitato, insegnante di 59 anni di Torre del Greco, l’ho toccata con mano nel 2012, quando incontrandoci per la prima volta a marzo di quell’anno, un mese dopo l’arresto per truffa aggravata, mi raccontò la sua storia.

Era pomeriggio. Sedute al tavolino di un bar con il mare di fronte, si accendeva una sigaretta dietro l’altra nel tentativo di soffocare la rabbia che, mista al dolore, la stava divorando. Non era stizza, ma rabbia profonda. Amarezza, delusione. Da un giorno all’altro e senza una spiegazione, era stata cacciata dall’ufficio che dirigeva e “invitata” dal suo capo a consegnare chiavi, password e documenti per essere messa in una stanza a guardare i necrologi.

“La mia vita è cambiata in una manciata di minuti”, mi disse parlando di molestie, soprusi, arresti, ripicche e giudici marci. Più andava avanti con il racconto, più mi sentivo ghiacciare il sangue nelle vene, più mi sembrava inverosimile: documenti alla mano, ci volle molto più di un pomeriggio per esaurire i miei dubbi.

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Per tre volte ho scritto la storia di Carla. Giornali blasonati si erano interessati al suo caso, salvo poi ripensarci e farmi cestinare l’articolo. Troppo rischioso raccontare il dramma di una donna, ex dirigente del settore indagini in un tribunale della provincia di Napoli che, prima di essere arrestata con l’accusa di truffa aggravata, aveva denunciato per molestie il suo capo, un Procuratore della Repubblica, volto noto al grande pubblico. Una formica contro un gigante.

Così la sua solitudine divenne, per me, impotenza. Frustrazione. E ogni volta che ne incrociavo lo sguardo, incontrandola per strada, ricordavo la sofferenza di quel pomeriggio di marzo. Parole che picchiavano come sassi lanciati nella testa e nel cuore: “Ho rifiutato le avances di un superiore che poteva essere mio padre”, disse. “Mi ha messo una mano tra le gambe e ho provato ribrezzo. Per un lungo momento sono rimasta paralizzata ma sentivo la nausea stringermi lo stomaco. Mi ha colta di sorpresa: mai avrei immaginato che potesse arrivare a tanto. Con un gesto di forza l’ho allontanato e sono uscita a prendere una boccata d’aria. Lui ha continuato a firmare documenti, come se nulla fosse accaduto. Ma in realtà, da allora, niente è stato più come prima: perché da quel momento è iniziata la mia disfatta professionale e familiare”.

Nel giro di pochi mesi le furono tolti tutti gli incarichi: “Ho imparato a conoscere il volto persecutorio della magistratura. I giudici con i quali avevo lavorato condividendo ansie e risultati, hanno iniziato a trattarmi da nemica. Perfino gli amici più fidati, quelli con i quali uscivamo il sabato sera per andare a teatro e a cinema, hanno iniziato a girarmi la faccia e a togliermi il saluto”.

Fino ad arrivare all’arresto, il 3 febbraio del 2012. Di quella giornata, mi è rimasta impressa, ancora una volta, la solitudine. Me la raccontò così: “Avevo le valigie pronte perché ero in partenza per una settimana di vacanza in Trentino. Avrei dovuto mettermi in viaggio con marito e figlie. Alle sei e mezzo del mattino, invece, i carabinieri mi telefonarono per chiedermi l’indirizzo esatto di casa mia. Trenta minuti più tardi, quattro macchine con i lampeggianti blu accesi, fecero irruzione nel parco. Otto militari bussarono alla porta per notificarmi l’ordine di custodia cautelare ai domiciliari e trasferirmi in caserma per le foto segnaletiche e gli  adempimenti burocratici. Mi fecero salire in un’auto con il lampeggiante acceso e sotto lo sguardo attonito delle mie figlie, di mio marito e dei vicini di casa che assistevano ammutoliti alla scena, mi portarono via, riservandomi un trattamento da vero boss. Intanto mi sembrava di sentire sulla pelle, nella carne, il dolore di una lama che mi trafiggeva. All’improvviso, come in un film, mi passò davanti agli occhi la pellicola della mia vita: immagini sbiadite, voci snaturate, ovattate. E mentre bagnavo i polpastrelli nell’inchiostro per le impronte digitali, ripensavo al concetto di onestà e moralità che mi era stato inculcato dai miei genitori. Terminate le formalità, nel tardo pomeriggio, gli stessi carabinieri, mi riportarono a casa: sulla porta trovai le mie figlie e mio marito con le valigie in mano, in partenza per la settimana bianca in Trentino. Con me, rimase solo il cane.

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“Sette giorni dopo, è arrivato l’ordine di scarcerazione e quindi il trasferimento immediato ad un ufficio senza incarico: mentre i colleghi mi trattavano da appestata, per sette ore e dodici minuti al giorno avevo il compito di cancellare le persone decedute da un elenco”.

Per uscire da quell’inferno, Carla è stata costretta a cambiare lavoro: dopo ventitré anni trascorsi in Procura, ha rispolverato la sua laurea in Lettere ed è entrata nella scuola come insegnante. Nel frattempo, è stata scagionata da tutte le accuse: è riuscita a recuperare se stessa, gli affetti familiari e i rapporti con gli amici. Il suo persecutore, rimasto impunito, si sta godendo la pensione.

Ma la forza di Carla, oggi, è tutta racchiusa nel libro “Missione Giustizia”, pubblicato dalla casa editrice “Nemo” che per la prima volta ha dato voce alla disperazione e alla rabbia di questa donna destinata a diventare esempio di coraggio per le migliaia di donne offese, denigrate e molestate.

Un libro che gela il sangue. Lo trovate in libreria e in formato e-book.

Mariella Romano

Giornalista freelance, ho imparato il mestiere di cronista consumando le suola delle scarpe. Non canto storie, scrivo ciò che vedo e racconto l’umanità che incontro. Non sopporto i numeri. Non so fare equazioni e conti e, in un mondo di variabili, alla ragione preferisco il cuore. Mi piace, assai, la terra in cui vivo.

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