L’ultimo saluto a Vincenzo Langella, morto sul lavoro a bordo. Il ricordo di un amico
È morto sul lavoro. E oggi c’è un’Italia che festeggia per l’occupazione mentre a Torre del Greco si sta celebrando il suo funerale. Vincenzo Langella, operaio della Moby ha perso la vita, a Livorno, il 24 aprile scorso: secondo una ricostruzione ancora parziale, il 51enne stava effettuando alcune manovre alla guida di un muletto nel garage della nave della compagnia, attraccata alla Calata Carrara. Per circostanze ancora da chiarire, si è mossa parte della struttura di un ponte elevatore che lo ha colpito alla testa. Sembra che sia morto sul colpo.
Oggi, da una parte ci sono le istituzioni e i sindacati con i loro cantanti in piazza e dall’altra le lacrime di una famiglia che non sa come raccontare alla mamma ottantaquattrenne del caposquadra, che il figlio non tornerà più a casa.
“Uno strazio”, dice con un filo di voce Loredana, la sorella di Vincenzo. “Le abbiamo detto che è partito per gli Stati Uniti e chissà quando tornerà”.
Una pietosa bugia che Annamaria Madonna, una vita passata a crescere figli con il sudore e la fatica, ha ingoiato senza fiatare, perché nelle famiglie come la sua, dove il lavoro e l’onore vengono prima di ogni altra cosa, può capitare di partire così, all’improvviso, senza passare a salutare la mamma.
“È molto malata e i figli hanno preferito tacere la verità”, spiega Nello Parola, amico d’infanzia di Vincenzo e suo collega alla Moby. “Siamo cresciuti nello stesso quartiere: abbiamo giocato insieme e poi abbiamo iniziato a fare lo stesso lavoro. Vincenzo ha cominciato a quindici anni a fare l’operaio: aveva una grande esperienza. Era serio, coscienzioso e mai avrebbe fatto qualcosa che potesse mettere a repentaglio la vita sua e degli altri. Era molto stimato e per l’azienda è sempre stato un punto di riferimento: non caso è diventato responsabile delle squadre volanti della Moby. Andava dove serviva e il lavoro lo faceva benissimo. Era instancabile”.
Quando vi siete visti l’ultima volta?
“Il 23 aprile, lunedì in Albis, poche ore prima che ripartisse per Livorno. A Torre del Greco viveva in casa con la mamma e un fratello disabile ed era venuto per trascorrere la Pasqua con la famiglia. Martedì mattina doveva prendere servizio in Toscana e perciò è partito il giorno prima”.
Si prendeva cura della mamma e del fratello Patrizio nonostante fosse sempre in giro per lavoro?
“Faceva il possibile per garantire un’assistenza continua a entrambi: ma al suo fianco ci sono sempre stati anche gli altri fratelli, Loredana, Lucia e Mimmo, una famiglia molto unita”.
Vincenzo, quando lavorava, ha mai espresso dubbi sulla sicurezza?
“L’ho sempre visto sereno”.
Che idea si è fatto? Che cosa può essere accaduto il 24 aprile a Livorno?
“Sarà l’inchiesta a chiarircelo: ci sono tre indagati e noi sappiamo solo che Vincenzo era un operaio scrupoloso, attento e soprattutto esperto. Oggi siamo qui a piangere perché lui è morto mentre lavorava. Abbiamo una sola certezza: la responsabilità di ciò che è accaduto non è la sua”.
L’ultimo ricordo di Vincenzo?
“Ci siamo salutati lunedì 23 aprile davanti alla pianta di limoni che coltivava nel giardino di casa. Gli ho detto: ne prendo qualcuno per il limoncello. Lui si è girato e ha risposto con il solito sorriso: fai pure, ma prima o poi questi limoni me li porto tutti a Livorno. È stato il nostro addio”.