Ossessionato dall’ex si incide l’iniziale del nome sul polso e la perseguita: condannato
Con un taglio ricucito alla meno peggio, si è inciso, sul polso, l’iniziale del nome della sua ex e le ha giurato odio eterno. Una cicatrice, più che un tatuaggio, come segno di possesso.
Niente, negli anni, è servito a placare la sua rabbia. G. P. non si è fermato davanti ai figli. Ha ignorato le suppliche dell’ex compagna. E perfino in tribunale, di fronte ai giudici, ha continuato a usare toni minacciosi nei confronti di M. G., 39 anni, la donna che dice di amare. Una vera ossessione per G. P., 40 anni, tossicodipendente di Torre del Greco, che giovedì 29 giugno è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia e violazione delle prescrizioni della misura cautelare.
Una vittoria solo processuale per le persone che il codice penale definisce “offese”: l’ex compagna e i due figli minori – che si sono costituiti parte civile nel processo – hanno vissuto diversi anni in uno stato di angoscia e disperazione per le continue vessazioni, violenze verbali e psicologiche, messe in atto dall’uomo che non si è lasciato intimorire dalle denunce e dalle diffide. Una vera persecuzione per la donna e i due figli che sono stati costretti a nascondersi e limitarsi negli spostamenti anche quando il giudice aveva ordinato a G. P. di indossare il braccialetto elettronico e mantenersi a debita distanza dall’ex.
Una storia drammatica, seguita con grande umanità dall’avvocato Tommaso Ciro Civitella per le parti civili, che rischia di lasciare ferite profonde nei due bambini che, inermi e terrorizzati, hanno assistito a veri raptus di violenza, minacce e molestie da parte del padre nei confronti della loro madre. Un comportamento persecutorio, generato anche dall’uso di sostanze stupefacenti che, negli ultimi tempi, si è trasformato in una “ossessione maniacale e incontrollata”: G. P., dopo essersi inciso con un coltello sul polso, l’iniziale del nome della donna, tempestava i figli di telefonate, messaggi e videochiamate per accertarsi che l’ex compagna fosse in casa.
Racconti agghiaccianti che hanno convinto i giudici a condannare l’uomo a quattro anni e sei mesi di reclusione: già ai domiciliari, ora in arresto.