"I nostri ragazzi sono morti per negligenza, inedia, superficialità e incuria". L'atto di accusa del cardinale Sepe nel giorno dell'addio ai quattro amici morti a Genova.
Escono di scena sulle note di “Knockin’ on Heaven’s Door”, di Bob Dylan, poco prima delle 19 di venerdì 17 agosto. Giovanni, Matteo, Antonio e Gerardo, i quattro amici di Torre del Greco morti sotto il ponte Morandi a Genova, se ne vanno accompagnati dalla loro musica preferita, tra gli applausi lunghissimi di un’intera città che si è fermata per salutarli, accogliendo l’invito del sindaco, Giovanni Palomba, al silenzio e alla preghiera.
Le station wagon grigio perla che li conducono al cimitero, sembrano scivolare tra due ali di folla. Li seguono lentamente, piegati dal dolore, i genitori, i fratelli e gli amici di sempre: quegli stessi ragazzi che, ai piedi dell’altare maggiore della Basilica Pontificia di Santa Croce, si son caricati in spalla le bare color mogano per riporle con delicatezza nella station da corteo funebre. Qualche ragazzo non riesce a staccarsi dalla macchina. Altri si avvinghiano al vetro anteriore: un giovane bacia la carrozzeria nella speranza di far arrivare quella carezza ad Antonio.
Piazza Santa Croce è stracolma di persone, come nei giorni di festa dedicati all’Immacolata. Eppure il silenzio è sovrano. Addirittura pare irreale tanto è pungente in questo pomeriggio che tramonta sul mare. Donne e uomini che sembrano pietrificati dal dolore, sussurrano preghiere e tacciono di fronte alla rabbia urlata da una mamma che si dispera davanti alla bara di suo figlio. Stilli che riecheggiano nella navata centrale e trafiggono il cuore come una lama.
Sferzano le parole di Roberto Battiloro, il padre di Giovanni, il giovane che tra qualche giorno avrebbe coronato il sogno di diventare giornalista professionista. Le sue parole pensano come un macigno soprattutto quando dice: “Mio figlio Giovanni, ma anche Matteo, Gerardo e Antonio non sono morti. Sono stati ammazzati”.
“Sono un uomo morto dentro”, aggiunge Roberto Battiloro. “Il dolore è immenso, ma devo trovare la lucidità perché cose del genere non accadano mai più. Lo Stato non ha tutelato i nostri figli e da domani, per me, inizia la battaglia per identificare i colpevoli della tragedia. I nostri figli sono vittime di un destino beffardo”.
“Non è stata una fatalità”, tuona dall’altare il cardinale Crescenzio Sepe. “Non è stato il destino perché il destino non esiste per chi crede in Dio. Ad ammazzare Matteo, Antonio, Gerardo e Giovanni è stata la negligenza, l’incuria, l’irresponsabilità, la superficialità, il burocratismo, l’inedia. Qualcuno dice che è il momento del dolore e del lutto, che non dobbiamo pensare alle cause e ai responsabili. È vero, ma è altrettanto vero che questo discorso può essere fuorviante e di comodo. E’ giusto invece che ci poniamo degli interrogativi e ci domandiamo perché tutto questo è accaduto, non per giustizialismo ma perché abbiamo il sacrosanto diritto di saperlo”.
“E dobbiamo saperlo per rispetto verso coloro che hanno perso la vita: per i nostri giovani e le loro famiglie. Dobbiamo saperlo perché ogni vita è sacra e quindi va sempre difesa e rispettata da tutti, sempre e in ogni modo”.
D’accordo anche il sindaco Giovanni Palomba che indossando la striscia tricolore, prende la parola sull’altare maggiore e racconta, trattenendo le lacrime, e tra gli applausi del suo popolo, la vita dei quattro amici travolti dal ponte Morandi la vigilia di ferragosto: “Tutti bravi ragazzi, seri, educati e perbene”. E conclude: “Torre del Greco ha perso quattro figli. Non spetta a noi trovare le responsabilità ma alla magistratura. Noi continueremo a stare vicino alle famiglie e a lavorare per trasformare il dolore in impegni concreti con l’obiettivo di trovare la verità”.
Applausi scroscianti e quasi liberatori, anche per Simona Fossa, la cugina di Gerardo e Antonio che dice: i ragazzi sono vittime dello Stato assente, vittime di coloro che hanno l’obiettivo di arricchirsi. Spero che i responsabili paghino per tutto questo”.