Gli animali e il coronavirus. Ecco che cosa si dovrebbe evitare

Il punto di Stella Cervasio

Stella Cervasio

Coronavirus: la prima volta che ho sentito usare questa terminologia, fu per un gatto che stava male ma il veterinario non riusciva a capire che cosa avesse. I felini specialmente hanno malattie infettive che spesso non sono definite con un nome certo: qualcuno si opporrà a questa mia affermazione, ma a me è capitato più di una volta. Il gatto guarì. Noi non ci ammalammo. Tutto finì bene, anche se l’unica diagnosi che mi restò tra le mani fu coronavirus e da allora scherzando dico che l’indefinibile malattia è sempre un coronavirus. Scherzo, naturalmente, ma sulle malattie infettive non si scherza. I virus prendono spesso il nome del posto dove si manifestano facendo danno: forse questo cinese sarà definito Wuhan  virus perché è lì che si è manifestato facendo più danno che altrove, al momento. Dunque ciò che si è detto dall’inizio a proposito del malanno cinese è che, siccome nel 2003 alla base dell’epidemia di Sars erano stati rintracciati degli animali, anche questa volta bisogna cercare lì. E la prima supposizione di colpevolezza è caduta sui pipistrelli. 

Prima di criminalizzare un animale già abbastanza mal sopportato e senza ragione, però, leggetevi qualcosa. Per esempio ciò che dichiara lo zoologo chirottologo (esperto di pipistrelli) a livello internazionale Danilo Russo, che abbiamo la fortuna di avere a Napoli tra un suo viaggio di studio in giro per il mondo e l’altro. Il professore afferma che se si è diffuso questo virus, la colpa è nostra e non degli animali. 

Leggetevi poi – con un minimo sforzo, perché l’autore è un eccellente divulgatore – Spillover di David Quammen: un giornalista con i fiocchi, che ha seguito per sei anni diversi scienziati nelle loro ricerche sui virus in Africa, in Asia e in Australia e Adelphi già nel 2014 ha tradotto il suo Spillover. Animal Infection and the Next Human Pandemic già pubblicato negli Stati Uniti, dove Quammen ha scritto numerosi reportage per National Geographic, nel 2012.

Che dice Quammen, che recentemente l’ha ribadito anche sul New York Times? Lo afferma sin da pagina 42 e lo ripeto per voi: “C’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra (e si riferisce a Ebola, all’Hiv 1, responsabile dell’Aids, a Hendra, una terribile epidemia che colpì cavalli e uomini in Australia negli anni Novanta e alle altre malattie “nuove” di cui sentiamo spesso parlare e di cui abbiamo esperienza più o meno diretta, ndr), e non si tratta di meri accidenti, ma di conseguenze non volute di NOSTRE azioni (il maiuscolo è mio, ndr)”.

Quammen analizza alcune epidemie e racconta che spesso nascono dal fatto che gli umani si sono nutriti di animali o pezzi di animali selvatici, addirittura in molti casi recuperati già morti e parzialmente decomposti nel cosiddetto bush che letteralmente è cespuglio, ma qui sta per zona selvaggia, non abitata, o meglio abitata da animali non convenzionali. E Quammen fa riflettere sul fatto che da quando noi invadiamo le zone  limite, dalle boscaglie alle savane, da quando distruggiamo le foreste, la nostra vicinanza con questi animali, con i quali i virus possono convivere tranquillamente per tanti anni, si è fatta pericolosa. Perché è la vicinanza e la contiguità data dal mangiare animali che non condividono l’ambiente che abbiamo de-naturato, e nel quale viviamo completamente fuori-natura, che crea il rischio dello spillover, il debordare del virus dall’animale all’uomo, il salto di specie. 

Aggiungo una piccola riflessione a tutto questo: non è necessario andare in Africa per assistere alla predazione che l’uomo effettua ammazzando scimmie e gorilla anche per mangiarli o antilopi, o, come in Cina negli ormai tristemente famosi mercati umidi, dove si vendono pipistrelli, volpe o koala sfusi o a pacchetti. Ricordiamo che in Europa esiste una forma di predazione (è un termine etologico, non moralistico) che viene chiamata sport e che colpisce i selvatici avvicinandoli pericolosamente alla terra dove abitano gli umani e in molti casi li considera commestibili. Animali che, altrimenti, volerebbero o correrebbero via nel loro bush. Ma tutto questo, anche in Italia, è perfettamente legale. 

Stella Cervasio

Educatore cinofilo, esperta diritti animali.

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