Giornata dedicata alla fibromialgia, la malattia invisibile che lo Stato non riconosce. Il racconto
Le associazioni chiedono che il servizio sanitario garantisca prestazioni gratutite ai pazienti
Il 12 giugno è la giornata mondiale della fibromialgia, la “malattia invisibile”, difficile da diagnosticare, che colpisce soprattutto le donne: in Italia si stima che soffrano di fibromialgia circa quattro milioni di persone. I sintomi a cui prestare attenzione, sono: dolore muscolo-scheletrico diffuso, stanchezza cronica, difficoltà a dormire e a concentrarsi al lavoro, problemi di memoria, rigidità articolare al mattino, cefalea, disturbi digestivi, svogliatezza e formicolii. La fibromialgia è una malattia reumatica invalidante ma non ancora riconosciuta in regime di esenzione dal servizio sanitario nazionale. Per questo le associazioni di pazienti chiedono alle istituzioni di inserirla nei Livelli essenziali di assistenza. Se la patologia fosse riconosciuta invalidante, consentirebbe poi di accedere alle agevolazioni previste in ambito lavorativo e sociale.
IL RACCONTO
Non è mortale, ma non se ne va più. Il reumatologo voleva farmi vedere il bicchiere mezzo pieno e, il giorno della diagnosi, me lo ha ribadito più volte: la fibromialgia non uccide ma devi imparare a conviverci. Da allora, cinque anni fa, me lo ripeto in diversi momenti della giornata: al risveglio, quando apro gli occhi e il corpo non ne vuole sapere di affrontare il peso del mondo che mi porto addosso; al pomeriggio, quando la stanchezza mi obbliga a tirare il freno; a sera, quando i muscoli rigidi e doloranti decidono di mettersi a ballare disobbedendo alla logica del riposo; la notte, quando i fantasmi di questa malattia escono allo scoperto e mi tolgono il sonno.
È vero, di fibromialgia non si muore, ma di fibromialgia si può impazzire. Perché il dolore cronico che nessun tipo di indagine strumentale riesce a documentare e dimostrare; la rigidità delle articolazioni, la stanchezza, la difficoltà a concentrarti e i disturbi di memoria, ti espongono all’ironia di chi non può comprendere ciò che non si vede e, spesso, ti condannano al giudizio dei propri sensi di colpa. Nel migliore dei casi, sei un lavativo che non ha voglia di lavorare. Nel peggiore dei casi, sei un ipocondriaco depresso. Provate a entrare nei panni di una persona che soffre e non viene creduta. Oggi, domani e dopodomani a sentirsi ripetere: reagisci, il male è nella tua testa. E, invece, il dolore è vero e si ripercuote su qualsiasi azione quotidiana.
A me, il dolore, è arrivato lentamente per poi scoppiare in un periodo di forte stress emotivo. All’inizio sembrava stanchezza, dolenzia, conseguenza di una grande fatica. Poi una mattina di febbraio, ho sentito il corpo opporre resistenza alla mia volontà di lasciare il letto e iniziare la giornata come sempre. Mi sentivo come paralizzata. Non riuscivo ad alzarmi e piangevo. Come si fa, a non parlare di depressione di fronte ad una situazione che sembra identica, in tutto e per tutto, ad un cedimento di nervi? Mi ero ingannata da sola! E la fortuna è stata quella di avere, intorno a me, persone “illuminate”: mentre io dicevo sono depressa, un amico neurologo mi ha presa per mano e condotta sulla strada giusta.
Ma il percorso non è semplice e non sempre la verità arriva subito. È per questo che, con il tempo, molti malati fibromialgici tendono a isolarsi e a evitare di relazionarsi con il mondo che li circonda. Nel tritacarne finiscono i rapporti con il datore di lavoro, con il partner, con la famiglia e con gli amici. E molto spesso, quando l’ambiente che ti circonda non è favorevole, l’unica soluzione che resta, è l’auto-reclusione.
Non è un caso, dunque, se fino a qualche anno fa, i medici hanno associato il dolore fibromialgico che coinvolge tutto il corpo e per il quale non c’è cura, alla depressione. E come depressi curavano le persone che si presentavano allo studio raccontando il “dolore invisibile”.
Oggi, per fortuna, molti medici stanno iniziando a prendere sul serio i racconti di chi soffre e la fibromialgia sta diventando più “visibile” agli occhi degli specialisti. Anche se non esistono cure mirate, il malato può rivolgersi con fiducia ai centri specializzati nella sindrome fibromialgica. A Napoli, il Policlinico è un punto di riferimento importante per questi pazienti che hanno bisogno di accedere ad un percorso terapeutico personalizzato. All’aiuto di un reumatologo spesso bisogna integrare quello di altri specialisti come lo psicologo, il fisioterapista, l’algologo e il nutrizionista. Cure che il servizio sanitario italiano ancora non concede gratuitamente ai pazienti fibromialgici.