Cooperante Onu, trovato morto in Colombia. La mamma: è stato assassinato

Napoli, la disperazione di Anna Motta che chiede per il figlio giustizia e verità

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Mario Paciolla

“Mio figlio è stato ucciso. È stato assassinato e vogliono farci credere che si sia impiccato. Aiutateci a trovare il colpevole”.

Non usa mezze misure, Anna Motta, fisioterapista all’istituto don Orione di Napoli e mamma di Mario Carmine Paciolla, il collaboratore dell’Onu di 33 anni trovato morto la mattina di mercoledì 15 luglio, in circostanze non chiare e con segni di lacerazione ai polsi, nella sua abitazione a San Vicente del Caguán, in Colombia, nel dipartimento meridionale di Caquetà. La notizia del decesso è stata data alla stampa colombiana dal colonnello Oscar Lamprea, comandante della polizia dipartimentale che si è limitato a precisare che la Procura ha aperto un’indagine per stabilire con certezza le cause della morte del giovane napoletano. Secondo un comunicato diffuso dall’agenzia Ansa, la missione dell’Onu in Colombia si è “rammaricata profondamente” per la morte di Paciolla, inviando le condoglianze alla famiglia e confermando di avere aperto un’inchiesta interna in collaborazione con la Procura per accertare i fatti.

“Tutto questo rammarico noi non l’abbiamo sentito”, dice Anna Motta con la disperazione nella voce. “Noi siamo stati chiamati, mercoledì sera, da una donna avvocato dell’Onu: con tono freddo e distaccato ci ha detto che Mario si sarebbe suicidato. Il suo caposquadra, né altri colleghi o superiori, hanno sentito la necessità di farci una telefonata. Come se da quest’altra parte ci fossero animali. Come se Mario non avesse una famiglia, non si sono degnati di darci una parola di conforto. Ma noi siamo certi che la verità sulla morte di nostro figlio non ce la vogliono raccontare”.

Mario Paciolla, laureato in scienze politiche internazionali, parlava 6 lingue: dopo aver collaborato con associazioni non governative, da due anni lavorava con l’Onu: attualmente, secondo Radio Caracol, faceva parte dell’equipe di verifica degli accordi di pace dell’Onu in Colombia. Giorni fa aveva accompagnato il governatore di Caquetà e il sindaco di San Vicente in differenti luoghi di dialogo e accordo con le comunità rurali dove si facilitavano processi di pace. Mario viveva nel quartiere Villa Ferro, luogo noto per i negoziati di pace falliti tra le Forze armate rivoluzionarie della Colombia ed il presidente Andrés Pastrana.

“Mario ci ha raccontato di aver avuto una discussione con i suoi superiori lo scorso 10 luglio”, ricorda ancora Anna Motta. “Da allora non è più stato lo stesso. Era nervoso, agitato, ansioso. Gli ho chiesto: Mario, sei in pericolo? Ti minacciano? Lui cercava di tranquillizzarci dicendo che era tutto sotto controllo. Ma aveva deciso di rientrare in Italia: martedì a mezzanotte mi ha chiamata per dirmi che aveva fatto il biglietto aereo. In Colombia erano le 17: due ore più tardi un amico ha provato a telefonargli ma già non era più raggiungibile. Forse era già morto.La mattina dopo, una collega cooperante lo ha trovato nel suo appartamento. Ci hanno raccontato che si è impiccato. Ma come si fa a credere una cosa del genere? Un giovane, brillante e sereno come Mario, va ad uccidersi due ore dopo aver comprato un biglietto aereo per rientrare in Italia e riabbracciare la sua famiglia? No, non ci credo”.

Un’ipotesi alla quale non credono gli amici di Mario che si sono sstretti alla sua famiglia, organizzando una petizione per chiedere giustizia e verità. Clicca qui per sottoscrivere la petizione – http://chng.it/XjR2kKzjBL 

“Io ho una sola certezza”, ribatte Anna Motta. “Da venerdì della scorsa settimana mio figlio era in uno stato di grande sofferenza. Mi diceva testualmente: mamma devo tornare a Napoli, mi sento sporco, devo assolutamente venirmi a bagnare nelle acque di Napoli. Poi, poco dopo, mi  ha chiamato per dirmi che aveva sbottato con alcuni dei suoi capi, che aveva parlato chiaro e che si era messo in un pasticcio. Mio figlio non tollerava le zone grigie. Era un uomo totalmente votato alla legalità e contro le ingiustizie. Questa sua rivelazione, seppure accennata, mi ha messo subito in grande agitazione, perché so bene che mio figlio non tollerava operazioni strane o missioni non giuste. Mi ero rassicurata e illusa”, conclude Anna Motta, “quando mi ha chiamata, martedì notte, per dirmi che sarebbe tornato a casa il 20 luglio. Invece..”.

Mariella Romano

Giornalista freelance, ho imparato il mestiere di cronista consumando le suola delle scarpe. Non canto storie, scrivo ciò che vedo e racconto l’umanità che incontro. Non sopporto i numeri. Non so fare equazioni e conti e, in un mondo di variabili, alla ragione preferisco il cuore. Mi piace, assai, la terra in cui vivo.

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