Vesuvio: l'emergenza dopo gli incendi
Mentre il Vesuvio continua a bruciare sul versante Monte Somma, c’è un’immagine che mi ritorna in mente. E non è il fuoco che da quindici giorni sta divorando ginestre e pinete secolari. Non è la cenere che sta ricoprendo con una coltre bianca, come se fosse neve, i vitigni, gli albicocchi e i pomodorini vesuviani. E’ l’immagine di un’anziana contadina di Torre del Greco che, seduta di sbieco su di un muretto in pietra lavica a pochi metri da casa sua, guarda la devastazione e alza le mani in segno di resa.
Non conosco il suo nome perché non ho avuto il coraggio di avvicinarmi. Ma l’ho vista piangere. Un pianto discreto, come solo le donne di un secolo fa, sanno fare. Aveva i capelli bianchi, il corpo esile, il viso bruciato dal sole e la forza della natura nelle braccia con le quali ha zappato la terra una vita intera. L’ho incontrata per caso, girando con la mia telecamera nelle pinete e nelle campagne del Vesuvio, mentre il fuoco continuava a bruciare il respiro della montagna. L’ho guardata e ho sentito il cuore stringersi in un pugno.
Come fai, mi sono chiesta, a confortare una contadina rimasta senza alberi, senza radici, senza ossigeno? E ho ripensato alle mamme che perdono i figli. E allora, ho preferito tacere. Ma nello stesso momento in cui ho capito di non avere le parole giuste per accarezzare quella donna ferita, ho sentito cadermi addosso lo sconforto e un senso di impotenza. E vi spiego perché.
Sono almeno venticinque anni che mi imbatto negli incendi e nei problemi che affliggono il Vesuvio. Nel tempo ho raccontato di discariche piene di amianto; di terreni demaniali abbandonati; di case illegali spuntate come funghi sulle briglie borboniche; di pinete offese e deturpate dal cemento e dall’immondizia; di ville usate come base dalla camorra; di alberghi abbandonati e diventati ricettacolo di qualunque nefandezza. Ci sono poche differenze tra un quarto di secolo fa e oggi: le case abusive sono ancora lì; i terreni demaniali continuano a essere abbandonati perché non ci sono soldi per la manutenzione e la monnezza, abbandonata all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, tra un po’ diventerà Patrimonio dell’UNESCO.
Ecco perché ho provato sconforto e impotenza di fronte al pianto dell’anziana donna. La dolce signora, dopo aver perso vitigni, frutteti, galline, conigli e pomodorini, dovrà vedersela anche con le piogge dell’inverno prossimo: se non si provvederà all’immediata bonifica e messa in sicurezza del territorio, le acque pluviali, troveranno radici recise e alberi bruciati e trascineranno a valle terreno fangoso e detriti d’ogni genere. Dunque, per lei e per altre migliaia di famiglie che vivono ai piedi del vulcano, l’emergenza è appena cominciata. Anche perché il fuoco che ha devastato il territorio bruciando chissà quanti rifiuti abbandonati in aree impervie e mai bonificate, oltre a favorire il dissesto idrogeologico, ha sprigionato veleni nell’aria. I dati Arpac rilevati a Torre del Greco dalle centraline mobili, parlano di valori da incubo. Solo nei prossimi giorni riusciremo a saperne di più. Nel frattempo, il Comune dovrà avviare sopralluoghi tecnici per verificare la staticità degli alberi danneggiati dagli incendi e programmare la bonifica: servono soldi, risorse umane e tanto impegno.
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