L'amore per Tiziana
Vi racconto una storia vera, scritta in forma romanzata, tutelando l’identità della donna che me l’ha affidata.
“Sei uno stronzo”.
“E tu na’ zoccola. E ti faccio vedere chi comanda in questa casa”.
Tiziana ammutolì sentendo i pugni battere sulla porta in mogano scuro: sapeva che quel pannello chiuso a chiave era il suo unico scudo. La sola arma che aveva per nascondersi e difendersi dalla furia di quell’uomo diventato pazzo di gelosia. E sapeva che non sarebbe finita bene, anche quella volta.
D’istinto allungò la mano e afferrò il Roipnol che stava sul comodino. Accennò un sorriso che sembrava una smorfia. Era il ghigno feroce che accompagnava un solo pensiero, un chiodo diventato fisso con il passare dei giorni.
Socchiuse gli occhi e cercò un motivo al quale aggrapparsi. Aveva bisogno almeno di un perché: sarebbe bastato a convincerla che c’era ancora spazio per rimanere là dove, tanti anni prima, aveva scelto di stare con l’uomo che diceva di amarla.
Ne trovò mille di perché. Tutti in fila, uno dietro l’altro, come un rosario da sgranare. Perché oscuri e senza luce.
Si guardò intorno e vide il letto sfatto, le coperte sul pavimento, lo specchio ingiallito che rimandava il profilo di una faccia che stentava a riconoscere. Provò a respirare per risentire l’odore di nuovo che aveva impregnato la casa di sposa. Provò a ricordare l’emozione del primo bacio. Rivide l’amore senza batticuore sul sedile della Panda, tra i pini che non lasciavano entrare il sole. Avrebbe voluto conservare il profumo del dopo sui vestiti sgualciti. Sentì puzza di chiuso. E di abisso.
Strinse più forte il Roipnol nel pugno della mano e si piegò in avanti lasciandosi cadere sul pavimento gelido. Ebbe freddo. Avrebbe voluto piangere per lasciare uscire il dolore che l’opprimeva. Rimase immobile. E sola.
“Zoccola, apri”.
I pugni sulla porta. Gli strilli che sembravano squarciare la penombra di un pomeriggio già tramontato e la voce di lui che martellava nelle tempie. Tiziana si tappò le orecchie e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto respirare a pieni polmoni. Invece tratteneva il fiato per non fare rumore. Avrebbe voluto liberarsi nell’aria e dissolvendosi come il vento. Pochi secondi e via, per sempre. Senza rimpianti. Senza ripensamenti.
Al volo in alta quota, scelse il sonno.
Vide le gocce scendere lentamente, ad una ad una, nel bicchiere colmo d’acqua. Le guardava cadere e sciogliersi come la pioggia nelle pozzanghere e pensava al dopo, al momento della nebbia, all’attimo in cui il torpore diventa morte.
“Tiziana, apri, così facciamo pace”.
Tiziana ingollò il Roipnol tutto d’un fiato, come se stesse ingoiando una pozione per la vita.
“Tiziana, sta facendo buio, apri”.
Adesso, i pugni sulla porta era diventati tocchi leggeri e la voce di lui sembrava il sibilo di una sirena lontana.
Il torpore era diventato morte.