Angoscia per Antonio Pacilio: tutta la famiglia del vice presidente Pro Loco colpita dal Covid
Torre del Greco, il racconto dall’ospedale della figlia Maria: “La cosa peggiore di questa malattia è la solitudine”
Sono ore di angoscia per Antonio Pacilio, sua moglie Angela e la loro figlia Maria, tutti contagiati dal Covid. Il vice presidente della Pro Loco di Torre del Greco è ricoverato all’ospedale di Sorrento: attaccato alla maschera dell’ossigeno, da venti giorni sta combattendo contro il Coronavirus che ha rubato il respiro a tutta la famiglia. Con lui nello stesso reparto e per la stessa patologia, è ricoverata anche la moglie: entrambi hanno 83 anni e le loro condizioni sono stabili. Al Cotugno, invece, è stata trasferita Maria, 53 anni, biologa, informatrice scientifica con la passione per il teatro. Anche per lei è stato necessario ricorrere alle cure ospedaliere per sintomi respiratori preoccupanti e febbre alta.
Giornate di sofferenza e grande apprensione che, l’approssimarsi del Natale, rendono ancora più tristi. Una situazione difficile che Maria, ci racconta dal letto dell’ospedale Cotugno, utilizzando la messaggistica dello smartphone: unico strumento a collegarla al mondo esterno.
Maria, come si sente?
“Adesso meglio. Stamattina (mercoledì 23 dicembre, ndr) hanno iniziato a svezzarmi con l’ossigeno: mi hanno messa in piedi e ho iniziato la fisioterapia respiratoria”.
I suoi genitori come stanno?
“A mio padre hanno tolto il Cpap (il casco, ndr) ed hanno messo la maschera che è più leggera. Psicologicamente è molto abbattuto.
E mamma?
“Sta benino, molto meglio di papà. Entrambi sono stanchi di stare in ospedale, ormai sono due settimane”.
Un incubo. Come è cominciato?
“Abbiamo saputo della positività dei miei genitori il giorno 3 dicembre. Io vivo con mio marito a Sorrento e poiché mamma e papà erano soli, mi sono trasferita immediatamente da loro a Torre del Greco. Li ho accuditi per 10 giorni. È stata molto dura perché la solitudine è peggio della malattia. Mi sono destreggiata tra cure, aghi, ossigeno. Alla fine la febbre alta di papà, la saturazione bassa di mamma ci ha fatto decidere per il ricovero di entrambi”.
Intanto, però, si è positivizzata anche lei. Quando ha deciso di trasferirsi a casa dei suoi genitori, non ha pensato ai rischi?
“Neanche per un secondo. Sono i miei genitori, hanno 83 anni e non potevo lasciarli in balia del nulla. Non avrebbero potuto farcela a curarsi da soli”.
Lei dopo quanto tempo ha iniziato ad avere i primi sintomi?
“Una settimana dopo il ricovero dei miei genitori: ho avuto sintomi forti, febbre alta, non mangiavo e non bevevo. Così hanno deciso di ricoverarmi”.
Qual è la cosa peggiore di questa malattia?
“La solitudine”.
Ce la descriva.
“È una cosa che fa male dentro.. intorno c’è solo vuoto.. Per gli altri siamo appestati. A casa non viene un medico, un infermiere, una badante. Certo, ti chiamano ma poi finisce lì e sei lasciato da solo a capire che cosa fare e se stai facendo bene. Di gente stupida ed ignorante ne è piena il mondo ma quando lo provi sulla tua pelle rimani spiazzato. Fortuna che ho un marito meraviglioso che non mi ha mai abbandonato e poi tanti amici che con le loro parole di conforto mi hanno riscaldato il cuore”.
Maria Pacilio collabora con il giornale La Tofa. Al suo direttore editoriale, Angelo Di Ruocco, ha inviato un racconto molto toccante. Con il permesso dell’editore e dell’autrice lo condividiamo di seguito.
Il mondo in una stanza
“La stanza che mi ospita all’ospedale Cotugno di Napoli è rettangolare, ha una finestra a tre ante sigillate ed un televisore non funzionante attaccato ad una parete. In questa stanza entrano solo Angeli vestiti di bianco, difficile distinguere il loro sesso, ma noi, ormai, li riconosciamo dagli occhi che sorridono quando ti portano una buona notizia e sono preoccupati quando c’è qualcosa che non va e non sanno come dirlo. Eppure il mio mondo io, l’ho racchiuso in questa stanza, non ho lasciato nessuno fuori, ci sono gli addobbi di Natale, l’albero rosso e dorato con tante luci colorate, c’è il presepe, c’è la musica dei zampognari e poi c’è la mia famiglia. Insieme vicino al nostro grande tavolo di legno scuro c’è mio padre che sorseggia il vino, ma madre in carrozzina addobbata per le grandi feste, i miei nipoti, mio fratello, mia cognata, mio marito, i parenti, ci sono tutti. Ma quest’anno è ancora più particolare perché in questa stanza ci sono tantissimi amici che non mi hanno lasciata sola nemmeno un momento, mi hanno incoraggiata, spinta a non abbattermi, amici che non vedevo e non sentivo da anni ma che mi hanno voluto portare una parola di conforto e credetemi sono stati veramente in tanti, non immaginavo tanta solidarietà. Cosa ho fatto per meritare tanto amore? Non so sarà la magia del Natale, sarà che nella vita qualcosa di buono ho seminato, sarà la voglia di amare che non mi ha mai abbandonato, sarà sarà….. Ecco arriva un angelo bianco nella stanza per la terapia e sono costretta a racchiudere tutto il mio mondo nel cassetto del mio cuore pronto a ritirarlo fuori domani mattina. Grazie, grazie a tutti e dalla mia piccola stanza auguro Buon Natale”.