3. La certezza

Il dramma della solitudine nel quale sprofondano i genitori quando scoprono di avere un figlio “diverso”. Barbara è mamma di due bambini bellissimi ai quali dedica ogni ora della giornata. Un po’ per scelta un po’ per obbligo: Flavio è un bambino che ha bisogno di attenzioni e cure costose che, almeno in Campania, il servizio sanitario nazionale non garantisce.

1 LA SCOPERTA

2 LA PAURA DI SAPERE

Il mio bambino è diverso

Le mie notti sono insonni, il timore che Flavio possa avere qualche patologia che rientri nello spettro autistico è sempre più pressante e quando, finalmente, trovo il coraggio di esternare i miei dubbi, manifesta solidarietà anche chi tempo prima mi aveva detto di non doverle nemmeno pensare certe cose. Solidarietà che mi schiaffeggia nell’animo.

Il giorno dell’appuntamento dalla neuropsichiatra è il mio compleanno. Non è un compleanno normale, compio quarant’anni. Per questa data avevo immaginato chissà che festa. Invece sono qui, in una sala d’attesa disadorna a immaginare il mio futuro. Il nostro. Ci siamo solo noi. Flavio è seduto su una sedia e come al solito sta lì buono buono. Come noi, quasi immobile, fissa quella porta chiusa.

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“Chissà che cosa pensa”, mi chiedo mentre nella mia testa faccio risuonare un concerto degli Iron Maiden. Un rock duro dal quale spero di ottenere l’elisir dell’incoscienza. Mi immagino tra le luci e i fumi del palco, mi aggrappo ai ricordi di un giorno spensierato. Tento così di scacciare l’oppressione, pesante come un macigno, che sento in petto. Mi volto a guardare Mirko, mio marito, e lo vedo pensiero, corrucciato. E in un momento i macigni sul cuore diventano mille schegge pungenti.

“Non posso farmi prendere dal panico. Devo essere forte”, mi ripeto come un mantra. Ma non funziona. Non serve a mantenermi calma. Poi, finalmente, la porta si apre e la dottoressa, occhiali sulla punta del naso e labbra sottili, ci invita a entrare. Oltre alla solita scrivania con computer e al lettino per le visite, noto subito un armadio e un tavolino con due sedie a misura di bambino. Ci chiede perché siamo lì.

“Me lo chiedo anche io”, penso a denti stretti.

Le raccontiamo i nostri timori, i comportamenti che ci hanno allarmati. Lei ascolta e dopo mille domande passa a Flavio. Lo chiama, lo osserva, lo studia. Chissà come, riesce ad avere la sua attenzione. Ci gioca per almeno un’ora. La più lunga della nostra vita. Poi torna a sedersi di fronte a noi.

Gli Iron Maiden, adesso, stanno facendo una feauturing con i Megadeath, ma quando la dottoressa si toglie gli occhiali, incrocia le dita e si protende verso di noi, nella mia testa cala il silenzio. Sono pronta a ricevere tutte le informazioni che la psichiatra può darmi.

“Escludo l’autismo”, dice subito e io tiro un sospiro di sollievo. Mi viene da piangere. Penso: “Meno male, era solo una mia fissazione”.

Poi si schiarisce la voce e aggiunge un “però”. Un maledetto però che mi cambierà per sempre la vita.

“Flavio ha bisogno di iniziare un percorso di neuropsicomotricità. Penso che abbia un disturbo della comunicazione e delle relazioni sociali, ma dobbiamo approfondire”.

Non era una fissazione, mi dico da sola guardandomi la punta delle dita. Vorrei chiedere: “Che cos’è quella parola così difficile da pronunciare? Che significa, chi può aiutarci? Che cosa ci aspetta?”.

Ma le domande restano bloccate in gola mentre immagino l’ingranaggio che si mette in moto nella testa di Mirko. Di sicuro cercherà di smuovere mari e monti per arrivare al migliore terapista. Mi sento sospesa. A metà sollevata e a metà desolata.

“Non è autismo, ma comunque è qualcosa che dobbiamo identificare”, dice la dottoressa accompagnandoci alla porta.

“Non è autismo”, mi ripeto mentre entro in macchina per tornare a casa.

“Non è autismo”, dice Mirko mentre ragiona sul da farsi.

“No, non è autismo. Non è autismo”, ribatto io. E mentre continuo a fissare la strada pensando ai giorni che verranno, guardo in faccia le mie paure e ripeto: Non è autismo, ma comunque è..”.

3 – Continua

Barbara Caccioppoli

http://mariellaromano.it

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